recensione di Gianni Cianchi

Macbettu

Teatro Nuovo Giovanni da Udine
sabato 2 Novembre 2019

Sabato 2 novembre il Teatro Nuovo Giovanni da Udine ospita per una sola serata lo spettacolo “Macbettu”, vincitore del Premio Ubu 2017 come Spettacolo dell’Anno, Premio della Critica Teatrale 2017, Premio Le Maschere del Teatro 2019 come migliore spettacolo di prosa.
Un premio è stato assegnato anche ad Alessandro Serra che del “Macbettu” cura regia, scene, costumi e luci.

Lo spettacolo che riscrive in sardo il testo di Shakespeare si sviluppa come ricerca di archetipi e risonanze ancestrali e traduce il delirio di potere di Macbeth, della sua lady, da tormento dell’ambizione a bisogno istintivo di predazione fino al punto di assimilare il sangue dell’assassinato re Duncan al pastone gettato a maiali grugnanti e famelici.

Tutto nello spettacolo concorre con straordinaria coerenza a creare la suggestione di una storia che perde i suoi connotati referenziali per assumere valenze atemporali. Gli attori si muovono sollevando polvere che tutto avvolge come se ogni immagine emergesse da un passato remoto.

I tagli di luce, con l’eccezione dell’ultimo quadro, non sono mai decisi e definiti, per così dire caravaggeschi, ossia non creano opposizioni ma illuminano quanto è sufficiente perché i personaggi possano debolmente affiorare da uno spazio neutro, generalmente immerso nella semioscurità.

Gli attori sono tutti maschili, non certo, come potrebbe sembrare, per ossequio alla tradizione elisabettiana. Shakespeare, come tutti i drammaturghi del suo tempo, scriveva le parti femminili per i ragazzi che ben potevano interpretare il ruolo di donne di qualsiasi età, anche in virtù di una voce non ancora arrochita dalla crescita.

Nel “Macbettu” di Alessandro Serra Lady Macbeth è un uomo di almeno 10 centimetri più alto degli altri personaggi, porta i capelli lunghi e soprattutto ha la barba come del resto le streghe della brughiera che vestono lunghi abiti scuri, il fazzoletto nero in testa, come le vecchie degli angoli più reconditi di una Sardegna non ancora contaminata dalla modernità.
Viene da pensare che la violenza, quella esercitata per il possesso e il potere, sia fin dai primordi prerogativa maschile.

Anche la voce degli attori, assecondando i suoni della parlata sarda, assume caratteristiche peculiari, quasi riducendosi a suoni che esprimono più una reazione fisica che un concetto convenzionale. In questo si potrebbe ritrovare un’eco dell’insegnamento di Grotowski, ravvisabile anche nell’essenzialità scenografica da “teatro povero” del “Macbettu”.

All’essenzialità dell’immagine contribuiscono anche i suoni dei campanacci, i rumori ottenuti con pietre o con parti metalliche. Si ricreano le condizioni per la rappresentazione del rito primordiale come attestano anche le maschere di sughero.

All’origine del mito, distanziato dalla realtà contemporanea, è impossibile distinguere fra tragico e comico, fra presente e passato, lento e veloce. Ogni distinzione fra gli opposti è una decodifica della civilizzazione, ma è inesistente ai primordi quando tutto si confonde e ogni cosa è anche il suo contrario.

Nello spettacolo le scene lente si alternano ad altre concitate, la tragedia, soprattutto con le figure delle streghe, assume caratteri grotteschi e persino comici, le morti sono violente ma i cadaveri vengono trascinati fuori dalla scena con una lentezza da processione funebre.

Vi sono tuttavia momenti in cui l’immagine, in questa alternanza ritmica e temporale, perde efficacia e poetica suggestione. Il quadro, in questi casi, sembra disegnarsi con un lentezza meno funzionale, cosa che per esempio non succede mai con l’immagine essenziale di Nekrosius al quale questo “Macbettu” può far pensare in alcuni momenti.

Lo spettacolo di Serra, ad ogni modo, merita i premi ottenuti; perderlo sarebbe stato un peccato.

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